Quasi una famiglia su due in Italia ha un animale domestico, e quando si arriva alla separazione questo diventa, alla stregua dei figli, un argomento della contesa. A chi andrà il cane? Sulla base di cosa viene presa dal giudice la decisione?
Fino a pochi anni fa la tendenza era quella di affidare il cane al proprietario cui era riconducibile il microchip (o al tatuaggio), senza tenere conto di quelle che erano le implicazioni affettive. Era a tutti gli effetti visto come una proprietà; un oggetto che poteva essere stato acquistato o regalato e che restava quindi legato ad una persona indipendentemente dal legame che poteva aver instaurato con gli altri membri della famiglia.
Da qualche anno invece, complice la maggiore attenzione ai benefici che un cane apporta alla vita del singolo ed alla vicinanza emotiva tra proprietari ed animali, la giurisprudenza sta colmando questo vuoto legislativo con una serie di sentenze che contemplano non tanto a chi è intestato il cane quanto la tipologia di affetti che si sono instaurati all’interno del nucleo familiare allo scopo di preservarli.
Proprio in quest’ottica è rimasta emblematica la gestione di un caso di separazione tra due coniugi avvenuta a Cremona. Il giudice, che ha poi omologato la decisione nel 2008, si era trovato di fronte due coniugi che si contendevano la proprietà di due cani. Il marito voleva che venissero a lui riconosciuti in quanto il loro microchip era a lui riconducibile, mentre la moglie insisteva che era sempre stata lei a prendersi cura dei loro bisogni. Vista la situazione il giudice ha portato avanti una linea mai vista precedentemente equiparando i due cani a dei bambini, ed invitando i coniugi a trovare un accordo che permettesse loro di badare ad entrambi ripartendo le spese di gestione.
Questa prima sentenza è stata seguita da altre simili, come ad esempio quella del Tribunale di Foggia che ha affidato il cane al coniuge, indipendentemente dall’iscrizione all’anagrafe canina, perchè si riteneva che fosse il più adatto a prendersi cura del cane e farlo crescere. Alla moglie è stato invece riconosciuto il diritto di visita esattamente come per la prole. Il giudice ha quindi privilegiato il bene dell’animale.
E’ un orientamento che sta prendendo sempre più piede, e sul quale è evidente la necessità di una regolamentazione di più largo respiro. Sono state presentate diverse proposte di legge (attualmente ferme in Parlamento) che mirano a disciplinare l’affidamento degli animali dopo il divorzio.
In particolare viene suggerito che l’affidamento venga dato a chi può garantire meglio il benessere dell’animale e che, per stabilire chi dei coniugi sia più qualificato, ci si serva di etologi esperti per non sbagliare.
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